ATTACCO DI PANICO E AGORAFOBIA: un fulmine a ciel sereno.
Un fulmine a ciel sereno. All’improvviso e, senza apparente motivo, si scatena un uragano di sensazioni: palpitazioni galoppanti, col cuore che batte all’impazzata, tremori, dispnea, sensazione di soffocamento, dolore al petto, formicolio o torpore in qualche distretto corporeo, sudorazione fredda, brividi, vampate di calore, vertigini, nausea, sensazione di vuoto alla testa e di sbandamento, senso di svenimento, derealizzazione (cioè: senso di perdita del contatto con la realtà), depersonalizzazione (cioè: senso di perdita del contatto con se stessi), paura di perdere il controllo o di impazzire, sensazione di stare per morire. Questo è l’attacco di panico.
Spesso la persona che ne è colpita prova a ‘gestirlo’ mettendo in atto una serie di comportamenti protettivi (ad esempio, inizia a respirare molto rapidamente) che nella maggior parte dei casi peggiorano la situazione amplificando le sensazioni del panico (l’iperventilazione, ad esempio, può peggiorare le sensazioni di vertigine, disorientamento e confusione).
Nell’angoscia di chi soffre di attacchi di panico, c’è sempre il riferimento a una terribile “prima volta” che lascia un ricordo talmente penoso che diventa, di per sé, un disturbo continuo. Gli attacchi di panico sono esperienze tremende, che fanno stare terribilmente male, e che, a loro volta, suscitano un’angoscia anticipatoria. I pazienti sono disposti a tutto, pur di evitare di ritrovarcisi.
Spesso i pazienti vivono nel terrore che l’attacco di panico possa ripresentarsi e mettono in atto strategie di evitamento preventivo che tendono a diventare così massicce e pervasive, da portare progressivamente i pazienti a evitare ogni novità, ogni imprevisto, ogni occasione di vita, con grave disagio e infelicità. Non di rado dunque, all’intensa e persistente preoccupazione che l’attacco possa ripresentarsi, segue l’evitamento di situazioni (quali ad esempio, luoghi affollati, mezzi pubblici, code, ecc.) in cui non sarebbe disponibile aiuto o da cui sarebbe difficile allontanarsi in caso di attacco (agorafobia).
Anche un solo attacco può sensibilizzare la persona rispetto ai segnali dell’ansia portandola a sviluppare una vera e propria paura della paura. E’ rilevante sottolineare che gli attacchi di panico successivi al primo, spesso non sono tanto crisi di angoscia diretta, ma sono crisi di paura che si riattivi l’angoscia di quella “prima volta”. Paura della paura. Una sorta di “paura di secondo grado”. Il fatto è che l’angoscia della “prima volta” è sentita come “non sopportabile”, come “insostenibile”. Così insostenibile, da non riuscire talvolta neppure a pensarla, ma soltanto a nominarla in modo implicito per accenni (“Non voglio più che accada quella cosa”, “Pensarci mi fa sentire male”).
Questo particolare tipo di paura (nota in letteratura scientifica con il nome inglese di anxiety sensitivity) porta l’individuo a interpretare come gravemente minacciosi per la propria integrità fisica o mentale i segnali di attivazione neurovegetativa (anche quelli del tutto fisiologici) e dunque a reagire ad essi in modo ansioso. L’ansia che ne deriva spaventa a sua volta la persona avviando un vero e proprio circolo vizioso che può condurla in breve tempo ad un attacco. La paura della paura, insieme agli effetti indesiderati dei comportamenti protettivi, è perciò in buona misura responsabile della comparsa di nuovi attacchi di panico e, in definitiva, dello sviluppo e mantenimento del disturbo.
E’ interessante notare quanto l’esperienza del panico sia intrinsecamente legata all’etimologia del termine. La parola “PANICO” deriva dal nome dell’antico Dio greco Pan. Il nome Pan deriva dal greco “paein”, pascolare, ma letteralmente pan significa “tutto” perché, secondo la mitologia greca, Pan era lo spirito di tutte le creature naturali e questa accezione lo lega alla foresta, all’abisso, al profondo. L’abisso, in accezione psicologica, corrisponde a ciò che non è conosciuto, ciò che si muove al di sotto della nostra consapevolezza, ed in effetti, il panico si nutre proprio delle nebbie che avvolgono il nostro funzionamento mentale.Dal nome Pan deriva il termine panico, infatti il dio si adira con chi lo disturba, ed emette urla terrificanti provocando nel disturbatore la paura. Alcuni racconti ci dicono che lo stesso Pan venne visto fuggire per la paura da lui stesso provocata, così come la persona che soffre di attacchi di panico tenta di fuggire dalla sua paura.
Purtroppo non tutti sanno che il disturbo da attacchi di panico, se adeguatamente trattato attraverso una psicoterapia, porta ad una remissione dei sintomi in circa il 90% dei casi.
Un fulmine a ciel sereno. All’improvviso e, senza apparente motivo, si scatena un uragano di sensazioni: palpitazioni galoppanti, col cuore che batte all’impazzata, tremori, dispnea, sensazione di soffocamento, dolore al petto, formicolio o torpore in qualche distretto corporeo, sudorazione fredda, brividi, vampate di calore, vertigini, nausea, sensazione di vuoto alla testa e di sbandamento, senso di svenimento, derealizzazione (cioè: senso di perdita del contatto con la realtà), depersonalizzazione (cioè: senso di perdita del contatto con se stessi), paura di perdere il controllo o di impazzire, sensazione di stare per morire. Questo è l’attacco di panico.
Spesso la persona che ne è colpita prova a ‘gestirlo’ mettendo in atto una serie di comportamenti protettivi (ad esempio, inizia a respirare molto rapidamente) che nella maggior parte dei casi peggiorano la situazione amplificando le sensazioni del panico (l’iperventilazione, ad esempio, può peggiorare le sensazioni di vertigine, disorientamento e confusione).
Nell’angoscia di chi soffre di attacchi di panico, c’è sempre il riferimento a una terribile “prima volta” che lascia un ricordo talmente penoso che diventa, di per sé, un disturbo continuo. Gli attacchi di panico sono esperienze tremende, che fanno stare terribilmente male, e che, a loro volta, suscitano un’angoscia anticipatoria. I pazienti sono disposti a tutto, pur di evitare di ritrovarcisi.
Spesso i pazienti vivono nel terrore che l’attacco di panico possa ripresentarsi e mettono in atto strategie di evitamento preventivo che tendono a diventare così massicce e pervasive, da portare progressivamente i pazienti a evitare ogni novità, ogni imprevisto, ogni occasione di vita, con grave disagio e infelicità. Non di rado dunque, all’intensa e persistente preoccupazione che l’attacco possa ripresentarsi, segue l’evitamento di situazioni (quali ad esempio, luoghi affollati, mezzi pubblici, code, ecc.) in cui non sarebbe disponibile aiuto o da cui sarebbe difficile allontanarsi in caso di attacco (agorafobia).
Anche un solo attacco può sensibilizzare la persona rispetto ai segnali dell’ansia portandola a sviluppare una vera e propria paura della paura. E’ rilevante sottolineare che gli attacchi di panico successivi al primo, spesso non sono tanto crisi di angoscia diretta, ma sono crisi di paura che si riattivi l’angoscia di quella “prima volta”. Paura della paura. Una sorta di “paura di secondo grado”. Il fatto è che l’angoscia della “prima volta” è sentita come “non sopportabile”, come “insostenibile”. Così insostenibile, da non riuscire talvolta neppure a pensarla, ma soltanto a nominarla in modo implicito per accenni (“Non voglio più che accada quella cosa”, “Pensarci mi fa sentire male”).
Questo particolare tipo di paura (nota in letteratura scientifica con il nome inglese di anxiety sensitivity) porta l’individuo a interpretare come gravemente minacciosi per la propria integrità fisica o mentale i segnali di attivazione neurovegetativa (anche quelli del tutto fisiologici) e dunque a reagire ad essi in modo ansioso. L’ansia che ne deriva spaventa a sua volta la persona avviando un vero e proprio circolo vizioso che può condurla in breve tempo ad un attacco. La paura della paura, insieme agli effetti indesiderati dei comportamenti protettivi, è perciò in buona misura responsabile della comparsa di nuovi attacchi di panico e, in definitiva, dello sviluppo e mantenimento del disturbo.
E’ interessante notare quanto l’esperienza del panico sia intrinsecamente legata all’etimologia del termine. La parola “PANICO” deriva dal nome dell’antico Dio greco Pan. Il nome Pan deriva dal greco “paein”, pascolare, ma letteralmente pan significa “tutto” perché, secondo la mitologia greca, Pan era lo spirito di tutte le creature naturali e questa accezione lo lega alla foresta, all’abisso, al profondo. L’abisso, in accezione psicologica, corrisponde a ciò che non è conosciuto, ciò che si muove al di sotto della nostra consapevolezza, ed in effetti, il panico si nutre proprio delle nebbie che avvolgono il nostro funzionamento mentale.Dal nome Pan deriva il termine panico, infatti il dio si adira con chi lo disturba, ed emette urla terrificanti provocando nel disturbatore la paura. Alcuni racconti ci dicono che lo stesso Pan venne visto fuggire per la paura da lui stesso provocata, così come la persona che soffre di attacchi di panico tenta di fuggire dalla sua paura.
Purtroppo non tutti sanno che il disturbo da attacchi di panico, se adeguatamente trattato attraverso una psicoterapia, porta ad una remissione dei sintomi in circa il 90% dei casi.